Articolo di Renato (per informazioni sull’autore, clicca qui).
Con questo articolo riprendo a proporti alcune informazioni e qualche spunto di riflessione sulle cure palliative.
Ovviamente, ti sarei grato se tu volessi informare altre persone dell’esistenza del blog “QUASIZEN”, se ritieni che potrebbero interessarsi alle varie tematiche trattate in esso. A tal fine puoi, ad esempio, utilizzare i “pulsanti” in cima ad ogni articolo per condividerlo anche nei social, come pure basterebbe inviare il link di un qualsiasi articolo che preferisci, tramite WhatsApp, a chiunque tu vorrai.
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Se tu volessi rileggere i precedenti 9 articoli dedicati al tema delle cure palliative, lo potrai fare cliccando sui seguenti numeri: 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 6 – 7 – 8 – 9 (in particolare ti invito a considerare le iniziali premesse che ho espresso nell’articolo n° 1, oltre alla scheda informativa sintetica sulle stesse cure palliative che potrai scaricare dall’articolo n° 9).
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Ma prima di proseguire, ti invito anche a cercare, in uno dei precedenti articoli (per leggerlo, clicca qui), un “INDICE” di altri articoli presenti in questo stesso blog, che potrebbe esserti utile se volessi leggere qualcos’altro.
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A questo punto, come al solito nel blog QUASIZEN, ti invito ad ascoltare una canzone, come sottofondo musicale per la lettura di questo stesso articolo. Questa volta ho scelto uno dei famosi successi del grande Rod Stewart (per conoscere qualcosa su questo artista, clicca qui) ovvero “Da Ya Think I’m Sexy?”
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Volendo continuare a parlare di cure palliative, avrei potuto intitolare questo articolo con la frase “la morfina non basta” oppure “se avessi voluto fare solo il medico, avrei continuato a fare il neurologo”, ma è meglio usare il solito titolo “supercazzole” che è, decisamente, più breve e mi aiuta sempre a non cadere nel tranello della banale retorica che si tradurrebbe, appunto, in un insieme di “supercazzole” (per come ho già cercato di spiegare in un precedente articolo che puoi trovare, cliccando qui).
Il rischio di divagare con inutili chiacchiere è, infatti, estremamente elevato, se si trascura il fatto che, su questo tema, potrebbero anche bastare le informazioni contenute nella nota informativa che puoi scaricare dall’articolo n° 9, cliccando qui.
Ma ritengo, tuttavia, che sia molto utile correre questo rischio, cercando di affrontare le tematiche strettamente correlate alle cure palliative.
Ovviamente un TEMA CENTRALE non può che essere la morte.
Dopo che avrai fatto tutti i tuoi gesti scaramantici (toccando tutto quel che vuoi) e sopportato il sottile brivido freddo che avrà percorso la tua schiena potresti, anche, decidere di continuare a leggere questo articolo dove, forse, troverai qualche spunto di riflessione che potrebbe esserti utile per tutta la vita.
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Prima ancora di non voler suscitare ogni eventuale fastidio a chi non ha alcuna voglia di pensare a certe cose, la cosa che mi interessa veramente è di non dire delle misere fesserie che io stesso mi ritroverei a smentire quando, malauguratamente, mi ritrovassi a vivere una condizione tale da dover essere io stesso a dover usufruire delle cure palliative. Pur cercando, quindi, di mantenere tutto il mio più sincero realismo, un principio che desidero sottolineare è che la morte (come ho già scritto in un precedente articolo n° 3 che potresti rileggere cliccando qui) è innegabilmente “sgradevole” ma NON È una malattia e tutto quello che accade prima è, sempre e comunque, VITA.
Sono assolutamente orgoglioso di non essere originale in tante cose che penso ed, anche in questo caso, mi posso vantare di aver trovato ispirazione in una frase che pare sia stata pronunciata da Patch Adams (per informazioni su questo magnifico medico, clicca qui):
“Ogni volta che trascorro del tempo con una persona che sta morendo trovo in effetti una persona che vive. Morire è il processo che inizia pochi minuti prima della morte, quando il cervello viene privato dell’ossigeno; tutto il resto è vivere.”
Per tale motivo le cure palliative non possono che essere indirizzate alla vita, in maniera estremamente concreta ed utile per chi ne può aver bisogno.
Ecco perché non tutte le persone al termine della propria vita possono aver bisogno di tali cure, in quanto non è il “processo” della morte che si deve curare, bensì ciò che può turbare, in modo intollerabile, un cammino di vita che può precedere un evento inevitabilmente tragico.
Non mi aspetto che tutti la pensino allo stesso modo, ma io mi ostino a ritenere del tutto ridicolo illudersi che sia veramente utile “medicalizzare” la stessa morte. Temo che sia quantomeno inappropriato voler “risolvere” qualcosa che non desideriamo, la cosa che (generalmente) nessuno desidera, affidando ai farmaci il compito di farci “dimenticare” che (per qualsiasi motivo, prima o poi) si deve morire. Purtroppo, la nostra società fatica moltissimo (e questo non è una colpa) ad attribuire un significato alla morte e, pertanto, si può correre il rischio di cercare nei farmaci uno strumento per sotterrare la testa di uno struzzo del quale nessuno vuole riconoscere l’esistenza.
La morte, nel suo significato più completo, NON È SOLO un evento corporeo e, ribadisco, NON BASTA che una persona stia per morire affinché siano indicate le stesse cure palliative, meno che mai se queste vengono “fraintese” solo come l’uso di una dozzina di fiale di morfina e 3-4 fiale di qualche sonnifero messe dentro una flebo e “chiudiamola lì”.
Ed infatti, anche a costo di risultare ossessivamente ripetitivo, è utile ricordare che le cure palliative non sono “cura” della morte, trovando il loro vero significato nell’essere cura di un periodo della vita nel quale diventa, sicuramente, più difficile riuscire ad attribuire valore alla stessa vita, se ci si trova a dover soffrire per sintomi estremamente intollerabili.
Quindi (almeno in alcuni casi), si potrà aiutare chi è prossimo alla morte ad andare oltre la sua passiva accettazione per provare, invece, ad ammetterla senza subirla, armonizzandosi con essa da un punto di vista spirituale.
Le cure palliative possono essere lo strumento proposto (e non imposto) ad una persona, affinché abbia l’opportunità di percorrere un personale cammino per attribuire alla stessa morte un “senso”, facendola diventare parte della propria vita.
Grazie proprio alle stesse cure palliative, si potrà favorire tale cammino che, seppur difficile, non per questo sarà solitario, se ci si affianca amorevolmente alla persona che lo sta compiendo, senza imporre la volontà ed i valori che non appartengono a chi sta soffrendo.
Meno che mai si dovrà cedere alla (celata) tentazione di “proiettare” su quella stessa persona le nostre angosce dinanzi ad una realtà che non è facile da sopportare.
E non credere che sia così ovvio e facile riuscire a non proiettare il proprio stato d’animo su un’altra persona. Nessuno può onestamente ritenersi immune da questa naturale tendenza. Gesù disse (probabilmente, anche proprio a tal proposito) “chi è senza peccato, scagli la prima pietra” (ed io che svolgo il mio lavoro di medico palliativista, mi ritrovo a confrontarmi continuamente con questa problematica).
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Come ho già sottolineato prima, non ho alcuna intenzione di essere io a cadere nell’esercizio delle supercazzole. Non ho alcuna intenzione di negare che, nella maggior parte dei casi, l’intensità e le caratteristiche della sofferenza fisica presente nelle fasi terminali di certe atroci malattie non possano essere fisicamente sopportate se non con terapie che, da un certo momento, indurranno la persona malata a dormire per il tempo che gli resta da vivere.
Tuttavia le cure palliative non si possono “svilire” nel mediocre compito di far dimenticare la morte, in quanto ogni operatore delle stesse cure può rivendicare, invece, la propria spinta motivazionale orientata all’aiuto da offrire affinché una persona, seppur gravemente malata, possa continuare ad attribuire un significato alla propria vita, anche in relazione al suo termine, almeno per tutto il tempo che sarà possibile con conservata coscienza.
Ed anche quando la coscienza di una persona gravemente malata verrà meno, a causa della stessa malattia o per un sonno farmaco-indotto, scopo delle cure palliative potrà essere quello di favorire le condizioni utili per continuare ad attribuire valore a quella stessa vita. Quel significato potrà continuare ad essere espresso, per quanto dolorosamente, anche dall’amore di chi resterà accanto a quella persona fino al suo ultimo respiro.
Sarà quello stesso amore che farà sì che, dopo, quando il corpo della persona malata non sarà più vivo, quella stessa persona continuerà ad esistere.
Ecco perché non ha senso limitarsi a “medicalizzare” la morte, in quanto per riuscire ad attribuire un “senso” alla stessa morte ci si dovrà affidare, in realtà, alle risorse spirituali di tutti coloro i quali vivono, direttamente o indirettamente, quella triste vicenda.
Forse la morte potrà essere “risolta” soltanto dalla consapevolezza di ciò che siamo veramente, dalla consapevolezza di una nostra appartenenza ad un “processo” che va al di là della durata della vita del nostro corpo e che va al di là della nostra identificazione ad una limitata realtà individuale.
Nessuno può imporre i propri valori agli altri e se io faccio certe mie affermazioni è solo per indicare una possibile via da “seguire”, pur riconoscendo il diritto di ognuno di rifiutare il mio “punto di vista”.
Ma chi vorrà approfondire certe tematiche lo potrà, comunque, fare leggendo il precedente articolo che si può, anche, trovare cliccando qui.
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Con tali premesse, si può affermare che farmaci usati per le cure palliative saranno solo come degli “attrezzi” per compiere un’opera d’arte il cui autore potrà essere, principalmente, la stessa persona che soffre. Non è un’impresa facile, non è una “passeggiata” e le cure palliative servono solo a consentire, a chi vorrà realizzare questa “opera”, di non essere ostacolato da sintomi intollerabili.
Sarà merito, principalmente, di chi vive quella tragica esperienza, grazie alla sua forza spirituale, che si potrà realizzare un vero capolavoro, riuscendo a fare pace con quel “nemico” che tutti ci illudiamo di poter combattere.
Forse, la morte è un “nemico” che puoi “sconfiggere” solo quando riesci a farci pace.
Forse, solo quando il marinaio decide di ammainare le vele, può sperare di far arrivare la propria barca, ancora integra, al porto (quel porto che tutti, prima o poi, dobbiamo raggiungere), impedendo che la furia del vento faccia ribaltare la stessa barca che, a quel punto, non potrebbe che essere sommersa da un mare in tempesta.
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Nel momento in cui ho terminato di scrivere questo articolo mi sono reso conto di come sono caduto in un mio frequente errore: quando voglio affermare un’idea alla quale tengo tantissimo, tendo ad essere eccessivamente ripetitivo. Ed, infatti, in questo articolo ho decisamente ripetuto tante volte lo scopo che affido alle cure palliative, ovvero quello di consentire alla persona malata di attribuire, per come riterrà giusto, un significato al tempo che gli resta da vivere.
Innegabilmente questo risultato rappresenta, per me, un “mantra” che mi accompagna ogni giorno nello svolgimento della mia attività di medico palliativista.
Spero, comunque, che questo stesso articolo sia stato di tuo gradimento e ti ringrazio, quindi, per l’attenzione che hai dedicato alla sua lettura.
In ogni caso, ti invito sempre a considerare che tutto ciò che si legge in questo blog non rappresenta, in alcun modo, alcuna Verità assoluta (per come ho già spiegato in un altro articolo che potrai rileggere, cliccando qui).
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Se tu volessi contattarmi lo potrai fare scrivendo a quasizen.mail@gmail.com
Accetterò ogni commento, giudizio o suggerimento (e, se non riesci proprio ad evitarlo, anche qualche insulto). Potresti anche inviare ogni tua riflessione che vorresti pubblicare su “QUASIZEN” (potrai chiedermi di farlo).
Ciao, alla prossima (non so quando).
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