SUPERCAZZOLE N° 2

Anche oggi, prima di invitarti a leggere questo articolo, come faccio sempre in questo blog, ti suggerisco di ascoltare un po’ di musica che ti possa dare un certo sollievo dalla fatica della stessa lettura che ti accingi a fare.

Il brano che ti propongo di ascoltare è una bella versione Live di “Layla” del grande Eric Clapton (se vuoi qualche informazione su questo magnifico artista, clicca qui)

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Nel precedente articolo (che ti invito a rileggere cliccando qui) ho scritto alcune necessarie premesse alla realizzazione di un mio (presuntuoso) “progettino”. 

Ho cercato, principalmente, di informarti di cosa intendo trattare nei successivi articoli: le cure palliative

Nelle stesse premesse che ho fatto, già in quell’articolo, ho sottolineato, inoltre, la mia semplice intenzione di suscitare un adeguato interesse per le stesse cure palliative, pur con tutta la sincera consapevolezza di non poter fornire Verità Assolute su un tema così tanto “difficile”. 

Essendo io un (mediocre) cultore di alcune tradizioni spirituali orientali, mi piace citare Buddha, il quale pare che abbia detto: “prima di parlare, domandati se ciò che dirai corrisponde a verità, se non provoca male a qualcuno, se è utile ed, infine, se vale la pena turbare il silenzio per ciò che vuoi dire”. 

È anche vero, tuttavia, che un proverbio siciliano (la cui saggezza è impareggiabile, soprattutto per un siciliano come me) recita nel seguente modo: “cu mangia fa muddhiche”, ovvero chi sta mangiando (del pane), inevitabilmente, fa cascare le briciole (dello stesso pane). 

Pertanto, se non vuoi far cascare delle briciole di pane, forse la cosa migliore sarebbe non mangiare quel pane. L’unico piccolo “inconveniente”, però, è che non mangiando non si campa a lungo. 

Ecco perché, in pieno accordo con l’insegnamento del Buddha, lascio a chiunque la libertà di dimostrare la (quantomeno possibile) condizione di mancata “verità” in ciò che si può leggere in questo blog, mi impegnerò, con tutto me stesso, a non combinare troppi danni con le “c….te” che posso scrivere in questo stesso blog (e che ti conviene verificare sempre), cercherò di esprimere dei concetti che siano sufficientemente utili e cercherò, inoltre, di evitare delle affermazioni decisamente imprudenti.

Ma, allo stesso tempo, non intendo nascondermi dietro certi mediocri “alibi” solo per evitare di “sbriciolare” il pane, in quanto questo non farebbe altro che mantenere o rinforzare certi “tabù” o, peggio ancora, certe “ipocrisie” che (dal mio punto di vista) impediscono di affrontare, in modo adeguato, certi argomenti (per quanto innegabilmente difficili da “digerire”). 

Ciò detto, aldilà di ogni nobiltà “radical chic” dell’argomento che voglio trattare, quello che più mi preme è che ne valga la pena. Ed io sono del tutto certo che ne vale la pena, non tanto per il valore “filosofico” che può essere attribuito a certe riflessioni, quanto per i risvolti fortemente concreti che ne derivano. 

Fatte queste ulteriori precisazioni, sempre chiaramente da “parac…” (anche questa volta volevo dire “paracadutista”), passiamo all’argomento di oggi. 

Oggi intendo chiarire a chi mi rivolgo, parlando di cure palliative. 

Ovviamente, utilizzando uno strumento comunicativo come un blog, tutto ciò che scrivo nei vari articoli ha esclusivo valore “divulgativo” e sarà (potenzialmente) indirizzato ad una ampia popolazione (sempre se saranno più di 2-3 le persone che leggono le stesse cose che scrivo). 

Ma, in tutta sincerità, non mi dispiacerebbe se tra queste 2-3 persone ci possa essere, anche, qualche medico, infermiere o qualsiasi altro individuo che svolga la propria attività in ambito sanitario (anche se dubito che saranno le prime persone a leggere i miei articoli di questo stesso blog). 

A dirla tutta, in realtà, ho il forte sospetto che certi argomenti dovrebbero essere approfonditi, con necessaria chiarezza, prima di tutto proprio da chi lavora nella sanità e, forse, ancor prima da chi gestisce la stessa sanità (sia sul piano amministrativo che politico). 

Non mi permetto, in alcun modo, di mettere in discussione la grande competenza già posseduta da tali interlocutori su queste tematiche, ma forse qualche nostra (essendo anch’io un medico) periodica riflessione andrebbe tutta a beneficio di chi si avvale del nostro operato. 

Probabilmente, se noi operatori della sanità vogliamo concederci un attimino di onestà intellettuale, non possiamo che ammettere che certe tematiche rischiano, spesso, di essere un tantino “scomode” proprio per noi, in misura anche maggiore di quanto lo possano essere per il resto della popolazione. 

Parlando di cure palliative, infatti, non si può fare a meno di occuparci della morte e, ammettiamolo, questo è un tema decisamente “scomodo” per il possibile delirio di “onnipotenza” di ogni operatore sanitario che si aggiunge a quello condiviso con il resto della popolazione, ovvero un possibile delirio di “immortalità”. 

Con queste ultime affermazioni (che mi dispiacerebbe se risultassero  eccessivamente “provocatorie” per qualcuno) concludo questo secondo articolo dedicato alle cure palliative, avendo individuato gli interlocutori ai quali desidero rivolgermi, ovvero tutti
Mi rivolgo a tutta la gente che vuole compiere un sereno e, pur sempre schietto, cammino di libera riflessione su queste tematiche.

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Ti ringrazio, anche oggi, della tua attenzione e sono fiducioso sul fatto che avrai voglia di leggere gli altri articoli che seguiranno su questo stesso tema.

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Come al solito concludo ricordandoti che potresti anche (perché no) “passare voce” ed informare altre persone dell’esistenza di QUASIZEN (puoi, ad esempio, utilizzare i “pulsanti” in cima ad ogni articolo per condividerlo anche nei social).

Se vorrai spiegare cosa vi si può trovare, potresti accennare a quanto ho scritto in un precedente articolo che potrai trovare cliccando qui. Ti ringrazio di cuore anche per questo.

Se, inoltre, volessi contattarmi lo potrai fare scrivendo a quasizen.mail@gmail.com

Accetterò ogni commento, giudizio o suggerimento (e, se proprio ci tieni, anche qualche insulto).

Ciao, alla prossima (non so quando).

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