Articolo di Renato Di Gesù (per informazioni sull’autore, clicca qui).
Con questo articolo continuo a proporti alcune informazioni ed alcuni spunti di riflessione sulle cure palliative. Potrai rileggere i precedenti 7 articoli cliccando sui seguenti numeri: 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 6 – 7 (in particolare ti consiglio di considerare le iniziali premesse che ho espresso nell’articolo n° 1).
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Ovviamente, come al solito, per accompagnare la lettura di questo articolo ti suggerisco di ascoltare un po’ di buona musica, come sottofondo.
Oggi ti propongo un famoso brano dei Matt Bianco, intitolato “More Than I Can Bear” (se vuoi leggere qualche informazione su questo gruppo musicale pop britannico, clicca qui)
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Il fatto che io abbia intitolato con il termine “SUPERCAZZOLE” gli articoli dedicati alle cure palliative è legato al fatto che io, generalmente, detesto le stesse supercazzole, detesto quel linguaggio fatto di retorici luoghi comuni, belle parole talora anche troppo “sdolcinate”, detesto l’ipocrita “perbenismo” spudoratamente bacchettone che tante volte incornicia ogni ragionamento fatto sulle stesse cure palliative.
L’uso che faccio del termine “supercazzole” l’ho spiegato meglio nell’articolo n° 4, dedicato sempre al tema delle cure palliative, che ti invito a rileggere cliccando qui.
Io preferisco un “tantino” di schiettezza in più che mi consenta di non dover scendere ad eccessivi compromessi che non riuscirei a sostenere.
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Ecco perché, anziché esibirmi in retoriche “supercazzole” per definire cosa sono le cure palliative, preferisco fare alcune riflessioni su cosa NON sono le stesse cure palliative.
E la prima cosa che mi viene in mente è che le cure palliative NON SONO eutanasia! (lo so, ho scoperto l’acqua calda).
Già dai miei precedenti articoli che ho presentato in questo blog, si poteva intuire il mio scarso entusiasmo nel sostenere la scelta dell’eutanasia anche nei casi di talune gravi malattie terminali (per le quali, dal mio punto di vista, la stessa eutanasia non è, necessariamente, un diritto, pur potendo essere un concreto e disperato desiderio).
Penso che si poteva intuire, anche, la mia preferenza, in quegli stessi casi, per un intervento palliativo, purché non “equivoco” (e aggiungo, anche, purché non imposto, ma proposto).
Ciò premesso, in maniera del tutto “preventiva” voglio fare alcune, ulteriori affermazioni che non hanno nulla a che vedere con certe “supercazzole”:
La prima affermazione riguarda la sedazione palliativa, che è solo uno degli aspetti delle cure palliative (per sapere cos’è, clicca qui).
QUANDO CI VUOLE, CI VUOLE! Non diciamo c…. te, non è fisicamente possibile sopportare tutto nella vita e certe problematiche terminali, purtroppo, non sono risolvibili con altro se, contemporaneamente, si ha ancora il “capriccio” di lasciare che il cuore continui a battere. L’unica cosa che vorrei sottolineare (per i “distratti”) è che la “sedazione palliativa” è una procedura terapeutica (ed in quanto tale, priva di alcun desiderio di morte) che si attua nelle fasi terminali di malattie, per problematiche non altrimenti trattabili.
La parola “terminale”, può, anche, correlarsi con il dover identificare con la dovuta tempestività quando un paziente è “alla frutta”. Ma il fatto è che qualche paziente potrebbe aver piacere di finire di mangiare almeno un po’ di pasta ed un secondo, prima di passare alla frutta.
In ogni caso, la decisione di attuare la sedazione palliativa è legata principalmente al fatto che una persona stia SOFFRENDO e non “solo” al fatto che stia MORENDO, non essendo necessariamente le due cose sempre coesistenti nel paziente stesso o coincidenti al naturale “vissuto” degli osservatori (familiari od operatori sanitari che siano).
La decisione di attuare la sedazione palliativa è qualcosa che non può e non deve essere presa a cuor leggero, anche per non correre il rischio di cedere alla tentazione di “sublimare” una pulsione al “mercy killing” che è del tutto estranea a tutti coloro che si occupano di cure palliative.
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La seconda affermazione è che NON VEDO L’ORA che rendano l’eutanasia legale anche in Italia, così che nessuno si possa preoccupare che ci sia chi pensi di fare (o far fare) quel lavoro camuffandolo da “cura palliativa”.
Non vedo l’ora che facciano un bel referendum al quale, con molta sofferta probabilità, potrei votare contro (ma rivendico il diritto di cambiare idea in qualsiasi momento).
Nel momento in cui altri avranno, legittimamente, scelto che il suicidio è un loro diritto, chi vorrà andare da un “eutanasiologo”, per quanto mi riguarda, lo potrà fare liberamente, purché si continui a dare tutte le adeguate risorse a chi vuol fare il lavoro di palliativista che è tutta un’altra cosa (e lo sappiamo bene noi che lo facciamo).
Solo così si potrà continuare ad occuparsi di chi, invece, sarà disposto a tutto, eccetto che desiderare di suicidarsi, pur di non soffrire. Si continuerà ad occuparsi di chi, anche sapendo che vivrà solo per poco tempo, non avrà tutta quella voglia di abbreviare quello stesso tempo che gli resta da vivere.
Per gli altri ci sarà un “eutanasiologo” che saprà svolgere quel lavoro che io non ho alcuna intenzione di fare e che potrà aiutare chi vive la disperata condizione (che può anche essere ammessa e rispettata) di desiderare il suicidio.
Quel professionista potrebbe aiutare chi fa quella disperata richiesta che io posso anche rispettare, pur non riuscendo a sentirmi capace di esserne complice (forse è un mio “limite” che, tuttavia, intendo mantenere, almeno finché non cambierò idea).
Ad ulteriore scanso di equivoci, mi auguro che la legalizzazione dell’eutanasia arrivi in tempo anche nel caso in cui io stesso mi trovassi in quella stessa disperata condizione di desiderare di suicidarmi (rinnegando, quindi, il mio precedente voto contrario alla legalizzazione dell’eutanasia stessa).
So già che, a quel punto, troverei una schiera di persone (sapienti) subito pronta ad additare la mia mancanza di coerenza.
In tal caso non mi resterebbe che dir loro: “lasciatemi morire in pace e non rompetemi i c….. ni”.
E se avessi ancora la forza di farlo mi piacerebbe, anche, citar loro una frase di Oscar Wilde: “La coerenza è l’ultimo rifugio delle persone prive d’immaginazione”.
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Detto ciò in modo da sgomberare il campo da ogni eventuale “supercazzola”, io continuo a descrivere le cure palliative nella loro netta diversità, alla quale non intendo rinunciare, nei confronti dell’eutanasia.
Descrivo una modalità di intervento per quelle condizioni nelle quali un individuo possa NON sentire il suicidio come un diritto.
Penso che le cure palliative debbano guardare in una direzione, pur non illudendosi di poter raggiungere sempre la meta.
Quella direzione può coincidere, soprattutto, col voler fare il possibile (NON SOLO con i farmaci) affinché una persona riesca ad inserire anche la propria disperazione in un contesto valoriale realmente significativo per quella stessa persona.
Ammettere che certe cure cosiddette “attive” possano essere inappropriate non significa, necessariamente, che si debba immediatamente rinunciare al diritto di provare le proprie emozioni, provare anche un’immensa tristezza all’idea di dover abbandonare i propri cari.
Ammettere la notte non significa rinunciare al desiderio di poter ancora godere degli ultimi raggi di sole al tramonto (lo vedi, quando mi impegno, riesco anch’io a dire delle “supercazzole” proprio belle).
Che un paziente possa ammettere l’imminenza della propria morte (oltre a quanto la stessa morte sia ripugnante) non significa che quella stessa persona debba, necessariamente, smettere di dar significato (il proprio significato) alla vita.
Ribadisco, per me la morte NON È una malattia e, pertanto, non è una condizione che si possa “curare”. Non ha alcun senso medicalizzare la morte!
Ma si può e si deve curare la sofferenza che ad essa si può correlare, scegliendo di occuparsene con le cure palliative, sempre nel rispetto della vita.
Altrimenti parlare di “qualità della vita” è, decisamente, una delle tante “supercazzole” che piacciono tanto ai bacchettoni.
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In alternativa si può sempre preferire “l’eutanasiologo”. E chi vuol fare quel mestiere…
… vada pure!
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A conclusione di questo articolo, ti ricordo sempre che tutto ciò che leggi in questo blog non rappresenta, in alcun modo, alcuna Verità assoluta (per come ho già spiegato in un altro articolo che potrai rileggere, cliccando qui).
Ti ricordo, inoltre, di “passare voce” (se vorrai) ed informare altre persone dell’esistenza del blog “QUASIZEN” (puoi, ad esempio, utilizzare i “pulsanti” in cima ad ogni articolo per condividerlo anche nei social).
Se vorrai spiegare cosa vi si può trovare, potresti accennare a quanto ho scritto in un precedente articolo che potrai trovare cliccando qui. Ti ringrazio anche per questo.
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Se, inoltre, volessi contattarmi lo potrai fare scrivendo a quasizen.mail@gmail.com
Accetterò ogni commento, giudizio o suggerimento (e, se non riesci proprio ad evitarlo, anche qualche insulto). Oppure, potresti anche inviare un tuo articolo che vorresti pubblicare su “QUASIZEN”.
Ciao, alla prossima (non so quando).
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