Articolo di Renato Di Gesù (per informazioni sull’autore, clicca qui).
Nel precedente articolo che ho pubblicato in questo blog “QUASIZEN” ti ho fatto una piccola confessione di come mi abbia colpito la strana coincidenza di aver ascoltato una puntata del Podcast di Luca Bizzarri, “Non hanno un amico”, dedicata proprio ad un tema vicinissimo a ciò che avrei voluto affrontare proprio in questi giorni (clicca qui, se vuoi rileggere il mio precedente articolo).
Ti avevo, quindi, anticipato che avrei voluto offrire alla tua attenzione alcune mie riflessioni riguardo il rapporto di sostanziale contrapposizione tra due scelte che possono essere prese in considerazione, in relazione a gravissime malattie.
Con questo ulteriore articolo proseguo a presentarti alcune mie riflessioni sulle cure palliative. Potrai rileggere i precedenti 6 articoli cliccando sui seguenti numeri: 1 – 2 – 3 – 4 – 5 – 6.
Prima di continuare, ti suggerisco, come al solito, di leggere questo stesso articolo con un sottofondo musicale. Oggi ti propongo di ascoltare un brano di Sinead O’Connor che è stata una magnifica cantante irlandese, scomparsa nel mese di luglio del 2023, all’età di soli 56 anni. Penso che sia stata un’artista ed una donna veramente speciale, per quanto estremamente sfortunata.
Nel 2017 aveva pubblicato un video nel quale affermava quanto segue:
“Sono da sola, tutti mi trattano male e sono malata. Le malattie mentali sono come le droghe. Vivo in un motel Travelodge in New Jersey e sono da sola. E non c’è niente nella mia vita eccetto il mio psichiatra, la persona più dolce al mondo, che mi tiene in vita. Voglio che tutti sappiano cosa significa e perché faccio questo video. Le malattie mentali sono come le droghe, sono uno stigma. All’improvviso, tutte le persone che dovrebbero amarti e prendersi cura di te ti trattano male”
Nel 2018 annunciava pubblicamente di essersi convertita all’Islam adottando il nome di Shuhada’ Sadaqa. Nel 2022 il figlio Shane di soli 17 anni, fu ritrovato morto dopo essere fuggito da un centro psichiatrico dove era ricoverato per aver manifestato tendenze suicide (per maggiori informazioni su questa stupenda artista, clicca qui).
Il suo famoso brano che ti propongo da ascoltare è “Nothing Compares 2 U” in una bella versione live.
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Tornado a trattare il tema di questo articolo, ovvero il rapporto che potrebbe essere considerato, in maniera anche distorta, tra le cure palliative e l’eutanasia, vorrei sottolineare quali sono le caratteristiche che le dovrebbero differenziare in maniera netta.
Ho usato di proposito il condizionale “dovrebbero” perché, anche in questo caso, vorrei fare alcune considerazioni che mi auguro non vengano scambiate per certe banali “SUPERCAZZOLE” che spesso si affermano sulle cure palliative.
In realtà, voglio fare delle precisazioni che siano inequivocabilmente preventive nei confronti di eventuali “malintesi” anche più spregiudicati di certe “supercazzole”.
Teoricamente, dire che eutanasia e cure palliative sono diverse sembrerebbe ovvio, ma secondo me ci può sempre essere il rischio che tale differenza possa non essere sempre evidente a tutti.
In questo articolo non voglio ancora spiegare quali sono le mie convinzioni che mi inducono a preferire le stesse cure palliative all’eutanasia per affrontare alcune tragiche situazioni, ma quello che mi preme di più, in questo momento, è evitare che queste stesse cure vengano fraintese da alcuni che le potrebbero ritenere, sostanzialmente, una forma di “eutanasia edulcorata”.
Non mi risulta che questo “malinteso” sia realmente presente nella popolazione o che lo sia solo in casi “sporadici”. Ma come si dice?
PREVENIRE È MEGLIO CHE CURARE!
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Nel caso in cui alcuni, tra la popolazione o, peggio ancora, tra gli operatori di diversi ambiti sanitari, possano sospettare (non oso pensare che lo possano anche “auspicare”) che le terapie farmacologiche praticate nelle cure palliative, soprattutto nelle fasi di estrema terminalità di alcuni quadri patologici, possano indurre la morte anticipata dei pazienti curati con i farmaci utilizzabili nelle stesse cure palliative, voglio fare alcune precisazioni CATEGORICHE:
- non c’è alcun dato scientifico che dimostri che la somministrazione appropriata dei farmaci utilizzati nelle cure palliative sia in grado di determinare una morte anticipata dei pazienti che si sottopongono a tali cure rispetto a quelli che non si sottopongono alle stesse cure.
- le cure palliative, in ogni caso, vengono attuate con finalità che escludono, in modo CATEGORICO, ogni desiderio di procurare intenzionalmente la morte dei pazienti che si sottopongono alle stesse cure palliative, anche ammessa una realistica preoccupazione che l’estrema fragilità organica degli stessi pazienti trattati li potrebbe eventualmente esporre ad un ipotetico RISCHIO di una imprevedibile suscettibilità, anche grave, a potenziali effetti collaterali degli stessi farmaci che, tuttavia, vengono prescritti con l’unica indicazione di procurare un sostanziale sollievo da tutta una serie di sintomi che gli stessi pazienti non sono in grado di sopportare.
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In pratica, L’UNICO SCOPO delle cure palliative è quello di garantire ai pazienti trattati un SOLLIEVO il più possibile completo da tutta una serie di problematiche che renderebbero invivibile il tempo che rimane loro a disposizione e che si vuol PRESERVARE nella sua realistica interezza.
Ecco perché una affermazione che non riuscirei a sopportare riguardo il senso delle cure palliative ed, in particolare, del ricovero di un paziente in hospice sarebbe che quello è “il posto dove le persone vanno a morire”.
Come ho già sottolineato in un precedente articolo (clicca qui, se vuoi rileggerlo), per me le cure palliative si attuano non perché una persona sta per morire, bensì perché una persona È ANCORA VIVA.
Anche nel caso che una persona si ricoveri in hospice, quella stessa persona va in “quel posto” per VIVERE.
Che poi un individuo si trovi in una sfortunata condizione fisica che lo condurrà alla morte, dal mio punto di vista, rappresenta un elemento che, per quanto inevitabile e dolorosissimo, non risulta essere il diretto “bersaglio” delle stesse cure praticate (e sarebbe anche stupido pensarlo).
È innegabile che a quell’evento finale si correlino tutta una serie di situazioni di forte impatto sul periodo che lo precede, ma ciò che voglio sottolineare è che le stesse cure praticate non sono dedicate alla morte (anche per il “semplice” fatto che la morte, in sé, NON È una malattia), bensì a tutto ciò che la precede e che, quindi, è sempre e comunque VITA.
Spero che queste mie riflessioni non vengano confuse con alcune delle frequenti “supercazzole” che si raccontano sulle cure palliative. Per quanto mi riguarda sono estremamente determinato nel rivendicare, con tutte le mie forze, la non negoziabilità dei suddetti presupposti (almeno fin quando io stesso non cambi idea). Non sono disposto, in nessun modo, a rinunciare al ruolo per il quale mi sono laureato in medicina e cioè per occuparmi della VITA umana.
Non temo di essere frainteso se affermo, con assoluta serenità, che dal punto di vista strettamente professionale (da palliativista), il fatto che una persona muoia non è un mio “problema”. Quello che mi interessa è che quella persona viva nel miglior modo possibile e per tutto il tempo che ha realmente a disposizione.
Ovviamente questa affermazione ha, lo ribadisco, una valenza esclusivamente professionale. L’impatto che la morte di una persona possa avere su di me, dal punto di vista umano, è una cosa di cui non ho alcuna intenzione di discutere in questo momento, ritenendo del tutto legittimo tenere per me ogni personale considerazione ed emozione in merito.
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A conclusione di questo articolo, ti ricordo sempre di “passare voce” (se vorrai) ed informare altre persone dell’esistenza del blog “QUASIZEN” (puoi, ad esempio, utilizzare i “pulsanti” in cima ad ogni articolo per condividerlo anche nei social).
Se vorrai spiegare cosa vi si può trovare, potresti accennare a quanto ho scritto in un precedente articolo che potrai trovare cliccando qui. Ti ringrazio anche per questo.
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Se, inoltre, volessi contattarmi lo potrai fare scrivendo a quasizen.mail@gmail.com
Accetterò ogni commento, giudizio o suggerimento (e, se non riesci proprio ad evitarlo, anche qualche insulto). Oppure, potresti anche inviare un tuo articolo che vorresti pubblicare su “QUASIZEN”.
Ciao, alla prossima (non so quando).
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