BRUTTA COPIA

Articolo di Renato Di Gesù (per informazioni sull’autore, clicca qui). 

Se non è la prima volta che leggi un mio articolo su questo blog, ormai sai che lo potrai fare accompagnandolo con un sottofondo musicale.

Oggi ti propongo un brano intitolato “Cry to Me”, originariamente cantato da Solomon Burke (di cui puoi avere qualche informazione, cliccando qui) e che, nel 1962, raggiunse la quinta posizione della classifica statunitense. La versione che ti propongo è una bella “cover” interpretata da un cantautore americano, Marc Broussard, il cui stile è, sostanzialmente, un mix di funk, blues, R&B, rock e pop, abbinato a chiare radici del sud.

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A questo punto ti propongo alcune riflessioni sulla “spiritualità” (è un po’ un mio chiodo fisso da un po’ di tempo a questa parte, abbi pazienza).

Sai cosa mi attrae della spiritualità? il fatto che, probabilmente, coincida con la forma più completa di comprensione della realtà?

Sai cos’è che, invece, mi allontana dalla religione? il fatto che (ormai) abbia pochissimo a che fare con la realtà.

Almeno per come mi è stata “venduta” (purtroppo), la religione è solo un insieme di dogmi ai quali credere, rituali incomprensibili e regole da rispettare. Non mi è mai stata presentata come una vera chiave di lettura della realtà. L’ho sempre percepita come disconnessa dalla realtà, se non opposta alla stessa realtà.

Tu la puoi considerare solo perché ti dicono che devi credere a qualcosa. E devi credere a tutti quei dogmi, a tutti quei rituali, a tutte quelle regole perché qualcuno ti ha detto che non c’e nessun altro modo per “comprendere” la religione.

Il fatto è che, forse, nell’antichità l’uomo non sentiva alcun bisogno di “comprendere” la stessa religione, perché la sentiva un tutt’uno con la realtà, in un tutt’uno con la propria spiritualità e, pertanto, non c’era bisogno di “comprendere” alcunché, bastava solo SENTIRE.

Poi, probabilmente, gli esseri umani hanno sempre più affidato alla ragione la funzione di “comprendere” tutto, dimenticandosi di come riuscivano a sentire la propria spiritualità in un tutt’uno con la realtà che risultava del tutto chiara, senza alcun bisogno di ulteriori “spiegazioni”.

Essendo la spiritualità qualcosa che non ha alcun contenuto “appetibile” per la ragione, la si è sostituita con un insieme di idee, dogmi, regole, riti, tutte cose da dover credere, da accettare per “fede”, tutto incasellato, tutto ordinato come solo la ragione può accettare, ma non il cuore, non lo spirito. Forse è nata così la religione, come oggi la conosciamo, come una “brutta copia” della spiritualità che la ragione stessa non ha mai saputo e non saprà (vorrà) mai accettare.

Forse le forme più arcaiche di religione, quelle di popoli più primitivi riuscivano ad essere un’espressione più sincera della spiritualità umana, forse fino a quando si credeva all’esistenza di un certo numero di divinità che non rappresentavano altro che la metafora di tutta una serie di energie vitali, di forze della natura (anche della natura umana), riuscendo quindi a mantenere un legame sincero con la realtà, senza alcuna necessità di una “fede” per sentirsi partecipi del vero significato delle stesse religioni.

Nel corso del tempo, però, tutto questo si è perso e solo pochi uomini illuminati hanno provato a riaccendere nell’umanità la luce della vera spiritualità. Uomini come Buddha, Lao Tzu, Gesù o altri spiriti elevati di cui io, ignorantemente, neppure conosco il nome.

Ma, ormai, le religioni (soprattutto quelle delle società cosiddette “avanzate”) hanno perso ogni legame, veramente sensato, con la realtà e dato che, ormai, sta crollando il dominio della “fede” (anzi è già crollato da diverso tempo) certe religioni si stanno, sostanzialmente, spegnendo.

Ma non la spiritualità, quella energia vitale che appartiene all’uomo, come supremo elemento qualificante. Questa energia non può spegnersi, perché niente qualifica e distingue l’uomo da altri esseri viventi più della propria spiritualità. È qualcosa che (per quanto ne sappiamo) nessun altro essere vivente possiede. Neppure l’intelligenza ci qualifica allo stesso modo. Per l’intelligenza si può fare una distinzione in termini quantitativi o qualitativi. La nostra intelligenza è diversa da quella di un delfino, sia in quantità che in qualità (anche se ho qualche dubbio su quale sia superiore, considerando l’intelligenza di alcune persone che mi vengono in mente).

Ma con la spiritualità la situazione è diversa. Non è questione di “quanto” o di “come”, è questione di “SI” o “NO”, di possederla o non possederla e, per quanto ne sappiamo, nessun altro essere vivente possiede la spiritualità se non l’essere umano.

Il fatto è che la spiritualità non è qualcosa di cui “discutere”, non è qualcosa che ha a che fare con le idee, con i ragionamenti, con i concetti o con le emozioni. Non ha, neppure, a che fare con l’individuo, con la singola persona. La Spiritualità è una realtà TRANSPERSONALE.

Ma di questo ne parleremo in qualche altro articolo di questo blog, pur non avendo alcun senso “parlarne”.

Non ha alcun senso parlare di spiritualità principalmente perché, in realtà, coincide solo con un’esperienza che si può, appunto, solo “sperimentare”.

Ciò avviene in maniera molto concreta e reale, come unico vero strumento di “comprensione” della realtà.

Questo non ci obbliga a rinunciare alla ragione, non dobbiamo negare la sua enorme utilità, non possiamo neppure negare le nostre emozioni e la nostra fisicità. Non c’è alcun motivo di stabilire alcun “dominio” di uno sull’altro. Non c’è alcun reale motivo di distinguere degli “opposti” che non esistono. Non c’è, pertanto, alcun motivo di considerare la propria spiritualità come qualcosa di distaccato da tutto il resto, come qualcosa di cui quasi vergognarsi, da nascondere. Anche a costo di essere etichettati come “strani” o “fanatici”.

Tanto chi è il vero “strano”? Chi è il vero “fanatico”? Cosa c….zo importano tutte queste inutili parole a chi ha sincera esperienza spirituale?

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Adesso ti suggerisco di ascoltare nuovamente la canzone “Cry to Me”, questa volta dalla voce originale di Solomon Burke e presentata in una “interessante” versione danzata:

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A conclusione di questo articolo, ti ricordo sempre di “passare voce” (se vorrai) ed informare altre persone dell’esistenza del blog “QUASIZEN” (puoi, ad esempio, utilizzare i “pulsanti” in cima ad ogni articolo per condividerlo anche nei social).

Se vorrai spiegare cosa vi si può trovare, potresti accennare a quanto ho scritto in un precedente articolo che potrai trovare cliccando qui. Ti ringrazio anche per questo.

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Ciao, alla prossima (non so quando).

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