JUNG

Articolo di Renato.

Recentemente ho ripreso a leggere un libro di Carl Gustav Jung (per maggiori informazioni su questo personaggio, clicca qui), intitolato “Tipi Psicologici”.

Avevo comprato questo stesso libro tanti anni fa e credo che, già allora, lo avevo letto tutto (non posso esserne del tutto certo, dato che talvolta compravo libri che poi, in realtà, tralasciavo).

In ogni caso, adesso ho ricominciato a leggere questo libro scritto da colui che fu psichiatra, psicoanalista, antropologo e filosofo svizzero, ideatore della tecnica e teoria, di derivazione psicoanalitica, chiamata “psicologia analitica” o “psicologia del profondo”.

Leggendo questo libro mi sono chiesto cos’è che mi attrae di Jung?

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Prima di rispondere a questa domanda ti suggerisco di continuare a leggere questo stesso articolo con un sottofondo musicale. Il brano che ti propongo s’intitola “Hallelujah”, una magnifica canzone di Leonard Cohen (per maggiori informazioni su questo artista, clicca qui).

Desidero farti ascoltare una cover di questa stessa canzone, interpretata da Benedetta Caretta, classe 1996, veneta (viene da Carmignano di Brenta), diventata nota per la sua partecipazione (e vittoria) al programma di Canale 5 “Io canto”, nel 2010. Benedetta fin da piccola ha coltivato la sua passione per il canto e ha frequentato il Conservatorio Steffani di Castelfranco Veneto, dopo aver conseguito il diploma di liceo linguistico. Dopo la vittoria a Io canto, la giovane ha vinto una borsa di studio e ha frequentato la New York Film Academy, una famosa scuola di canto, ballo e recitazione. Nel 2014, inoltre, ha anche partecipato a The Voice of Italy. Credo che nel video che seguirà potrai apprezzare tutta la bravura di questa interprete (e non solo la bravura).

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Riprendendo a descrive ciò che mi attrae di Carl Gustav Jung, potrei dire che, molto probabilmente, un motivo potrebbe essere che se nascessi una seconda volta non farei più il medico (sono laureato in medicina e specialista in neurologia), ma mi iscriverei alla facoltà di psicologia per, poi, diventare psicoterapeuta.

In realtà, anche un medico potrebbe frequentare un corso di 4 anni per diventare psicoterapeuta, ma in tutta sincerità, con moglie e figlia a carico ed un mutuo da pagare, per un uomo prossimo ai 60 anni, non è proprio il caso di mandare a puttane tutto quello per il quale si è già impegnato per una vita, avventurandosi in una nuova professione (abbastanza “rischiosa” in quanto la gente è disposta a spendere soldi per farsi “riparare” il corpo, più di quanto sia disposta a farlo per “riparare” la mente).

Quindi, pazienza, posso sempre dilettarmi a leggere libri sui temi psicologici ed usare, comunque, questa mia attitudine “psicologica” nel lavoro che svolgo (ed, innegabilmente, ho deciso di smettere di fare il neurologo ed occuparmi di cure palliative soprattutto per questo motivo).

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Jung è una figura che mi attrae tantissimo, soprattutto per la sua teoria riguardante la classificazione degli individui secondo “tipologie psicologiche” che si articolano attorno alla basilare polarità “Introverso/Estroverso”. In realtà, questo contenuto del suo pensiero è solo un aspetto di ciò che mi attrae dello stesso Jung. Credo, infatti, che ciò che mi fa sentire in “risonanza” con questo personaggio sia anche la sua storia personale (che ho scoperto solo di recente). Infatti, egli fu un bambino solitario (come lo sono stato anch’io), tanto che un suo amico d’infanzia Albert Oeri ricordò il primo incontro con Carl, quando entrambi erano molto piccoli: lo descrisse come “un mostro di asocialità”, concentrato sui propri giochi, il contrario di quello che aveva conosciuto all’asilo, dove i bambini giocavano, si picchiavano e stavano sempre insieme. I due restarono amici per tutta la vita.

Anch’io sono stato un bambino solitario, tanto che i miei genitori furono costretti a non mandarmi più a scuola materna, dopo il tentativo fatto per un paio di settimane, duranti le quali piangevo come un indemoniato ogni mattina, quando mia madre mi “abbandonava” a quella tortura che per me era dover stare circondato da tanti bambini felici e giocosi.

Una cosa che mi fa, anche, sorridere della storia personale di Jung è il fatto che quel suo amico d’infanzia aveva lo stesso nome del mio (unico) vero amico d’infanzia che si chiama, anch’egli, Alberto e con il quale, ancora adesso, riesco a fare delle lunghe chiacchierate fondate su una profonda ed intima sintonia e su un sincero affetto che ci lega in modo indissolubile.

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Qualunque sia il motivo, ho cominciato, dopo tanti anni, a rileggere il capolavoro di Carl Gustav Jung, intitolato “Tipi Psicologici” e la prima cosa che mi ha colpito è una sua affermazione fatta nelle prime pagine della stessa opera. Jung dice: “l’ideale e il fine della scienza non consistono nel dare la descrizione più esatta possibile dei fatti. La scienza non può gareggiare con i sistemi di registrazione cinematografici e fonografici. Essa adempie al suo scopo e alle sue finalità fissando delle leggi che non sono null’altro che l’espressione abbreviata di processi molteplici, se pur concepiti in qualche modo unilateralmente. Mediante una tale concezione la scienza trascende il semplice dato dell’esperienza, per cui, nonostante la sua universalità e obiettività, sarà sempre il risultato della costellazione psichica soggettiva dello scienziato”.

Non c’è niente di più bello, per me, di qualsiasi cosa mi dia ragione. Dato che è molto probabile che nella mia personalità sia estremamente significativa la componente narcisistica ed introversa, non posso che godere di ogni cosa che possa rafforzare le mie più intime convinzioni.

Ed è sicuramente questo uno dei motivi per cui mi trovo in forte sintonia con un’altra affermazione di Jung: “Quanto più domina la ragione critica, tanto più la vita si impoverisce; ma quanto più dell’inconscio e del mito siamo capaci di portare alla coscienza, tanto più rendiamo completa la nostra vita”.

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Credo che questa frase di Jung si correli, tra le tante cose, anche alla sua concezione riguardo la “Persona” che può essere considerata come l’aspetto pubblico che ogni individuo mostra di sé, ovvero come egli stesso appare nella società, nel rispetto di regole e convenzioni. Tale “maschera teatrale” rispecchia ciò che ognuno di noi vuol rendere noto agli altri, ma non coincide necessariamente con ciò che realmente si è.

Nella piena individuazione e realizzazione di ciò che realmente si è si deve, tuttavia, giungere alla scoperta del “Sé” che è il punto culminante del percorso di realizzazione della personalità di ogni individuo, nel quale si portano a un’unificazione tutti gli aspetti consci e inconsci dello stesso soggetto.

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Io non so quanto le cose che avevo già letto, in passato, di Jung mi abbiano influenzato. So solo che oggi mi ritrovo in forte “risonanza” con quello stesso pensiero.

Già in altri articoli, in questo blog, ho fatto riferimento a ciò che io denomino “Puro Essere” (non devi fare altro che leggere tutti gli altri miei articoli per cercare dove parlo di ciò) ed, in tutta sincerità, ho l’impressione che questa realtà, che io sento di fondamentale importanza nella mia vita, sia abbastanza vicina a ciò che era concepito da Jung come “Sé”.

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E, forse, la realtà del “Puro Essere” è ciò che cerchiamo tutti.

Cerchi sempre qualcosa, cerchi, accumuli e ti senti mancare sempre qualcosa. Indossi sempre più “abiti”, uno sopra l’altro, ti senti sempre più sopraffatto e continui a cercare. Poi, ad un certo punto, ti puoi rendere conto di una cosa…

quel che cercavi è sempre lì, è sempre stato lì, in fondo.

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Quel che cercavi è, semplicemente, sotto tutte quelle cose. Hai impiegato tutti i tuoi anni per accumulare tutta quella roba inutile che hai creduto di dover cercare. Ed ora che fai?

Te la tieni!

Tutto qui.

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Chiamalo Dio, chiamalo il Tao, chiamalo l’Energia, l’Assoluto, chiamalo la “Forza” di Guerre Stellari, chiamalo come vuoi. Quel che sentivi mancare nella tua vita è quella cosa che hai ricoperto di tante idee inutili. L’avevi solo dimenticata.

Se vuoi ritrovarla, se vuoi incontrarla, non puoi solo pensarci o, peggio ancora, solo parlarne. Ciò che cerchi non è nei pensieri o nelle parole, nei dogmi, nei riti, nelle preghiere solo recitate. È un’esperienza che fai al di là dei pensieri e delle parole. È un sentire. Ed anche se risulta difficile credere che possa esistere qualcosa che non possa essere pensato, definito, denominato, forse possiamo ammettere che c’è stato un tempo in cui ne abbiamo, tutti, fatto esperienza, spontaneamente.

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Non escluderei che ciò sia accaduto quando eravamo ancora nel grembo di nostra madre ed anche un po’ dopo, nei primissimi anni dopo la nascita. Non avevamo parole nella nostra mente, il nostro contenuto mentale non era fatto di parole, ma solo di esperienze. Non avevamo idee, giudizi, logica. Eravamo solo vita, in perfetta unione col Tutto. Abbiamo già conosciuto Dio (o, se preferisci, puoi anche dire la “Forza” di Guerre Stellari), ora si tratta solo di ricordarcelo, senza tante chiacchiere. Forse è decisamente semplice, ma non è facile.

lo ci sto solo provando e non credo di esserci ancora riuscito. Altrimenti non avrei bisogno di scrivere certe “minchiate” in questo blog.

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Prima di concludere questo articolo ti invito a riascoltare lo stesso brano musicale di prima, questa volta però interpretato dallo stesso Leonard Cohen.

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Concludo ricordandoti che tutto ciò che hai appena letto sono, soltanto, delle mie idee, basate anche su mie esperienze personali.

Ti invito, quindi, a considerare sempre che tutto ciò che si legge in questo blog non rappresenta, in alcun modo, alcuna Verità assoluta (per come ho già spiegato in un altro articolo che potrai rileggere, cliccando qui).

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Se tu volessi contattarmi lo potrai fare scrivendo a quasizen.mail@gmail.com

Accetterò ogni commento, giudizio o suggerimento (e, se non riesci proprio ad evitarlo, anche qualche insulto). Potresti anche inviare ogni tua riflessione che vorresti pubblicare su “QUASIZEN” (potrai chiedermi di farlo).

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Ciao, alla prossima (non so quando).

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