Articolo di Renato.
“I fiori del prato sono belli perché hanno tanti colori”.
Questa è una frase che talvolta mi è capitato di pronunciare per sottolineare che la “diversità” è una qualità positiva e non un problema.
Ma c….zo! Ogni tanto farebbe anche piacere trovarsi accanto ad un fiore del tuo stesso colore. In realtà, non intendo proprio identico. Almeno un colore simile. Se io sono rosso, non pretendo di stare accanto a tanti altri fiori proprio rossi, ma almeno qualcuno arancione!
E invece NO!
Io sono rosso e mi sembra di essere circondato da fiori blu, verdi, gialli, neri, bianchi.
Ma di rossi non riesco a vederne tanti (sarò daltonico?)
Tante volte mi sento un po’ come un “marziano”. Penso qualcosa o, peggio ancora, dico qualcosa e ho l’impressione di parlare in un’altra lingua, come se fossi arrivato da Marte.
Penso e dico cose che, talvolta, non riesco a capacitarmi come siano così difficili da capire.
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Prima di continuare a leggere il resto di questo articolo, ti consiglio di farlo con un sottofondo musicale.
Il brano che ti propongo di ascoltare s’intitola “Road to Nowhere”, del 1985, eseguito dai Talking Heads (se vuoi qualche informazione su questo gruppo, clicca qui).
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Oggi voglio condividere alcune mie riflessioni su un tema per il quale mi piacerebbe trovare qualche altro marziano, come me, che riconosca che non sto pensando proprio delle assurdità. Sinceramente, non penso di avere grandi pretese.
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Avrei potuto intitolare questo articolo col termine “SUPERCAZZOLE”, in quanto ciò che sto per esporre è riferito alle cure palliative (sulle quali ho già dedicato altri articoli, dei quali puoi trovare l’ultimo, cliccando qui)
Tuttavia, ho preferito un titolo diverso per sottolineare meglio il mio timore di non essere compreso, anche se voglio fare, ugualmente, un accenno a ciò che penso.
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Nella lingua inglese, le cure palliative vengono chiamate PALLIATIVE CARE.
E tu mi dirai: “e allora? Cosa c’è di strano?”
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Nulla, non c’è proprio nulla di “strano”. Il fatto è che nella lingua inglese esistono due termini DIVERSI, ovvero “cure” e “care”, che nella lingua italiana vengono tradotti con un’unica parola, ovvero “cura”.
Quindi “palliative care”, in italiano, diventa “cure palliative”.
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E secondo me questo è un GROSSO PROBLEMA!
Per me, questo “dettaglio” semantico rischia di essere la principale causa di molti equivoci e dei molti problemi che possono affliggere, sempre di più, le stesse cure palliative in Italia.
Forse, accontentarsi di considerare le cure palliative, sostanzialmente, come terapia (farmacologica) è il “peccato originale” che rischia di rovinare tante cose.
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“Care”, nella lingua inglese significa, sostanzialmente, “prendersi cura”. Ciò, ovviamente (e banalmente, direi!) include che si pratichi anche una “cure”, ovvero una terapia farmacologica. Ma il fatto che, nella lingua italiana, non esista un singolo termine che racchiuda in sé tutto il valore di ciò che significa “prendersi cura” di una persona, induce all’idea e, quindi, anche all’aspettativa che le cure palliative siano sostanzialmente (solo) terapia farmacologica.
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Provo a spiegare l’enorme importanza di questo problema semantico, considerando un altro esempio. Sempre nella lingua inglese, esistono altre due parole che vengono tradotte in italiano con un’unico termine.
In Inglese si può dire “house” oppure “home” ciò che in italiano indichiamo solo con la parola “casa”.
Il fatto è che la differenza tra home e house va ben oltre il mero significato di questi due termini, e va scovato in una dimensione ben più PROFONDA. Quando ci si riferisce a una house si sta parlando di una generica struttura abitativa mentre, se usiamo home, stiamo indicando il luogo in cui abita una famiglia (specialmente se la nostra) o comunque delle persone a cui quel luogo è caro. Ciò che si può sottolineare è che la vicinanza emotiva ha un’enorme rilevanza nella scelta del termine. Una house può essere un qualsiasi edificio e per potersi definire tale, è sufficiente che sia stato costruito perché delle persone ci possano vivere dentro.
Invece una home è molto, molto più di questo.
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La home è il luogo dove ci sentiamo sicuri, dove troviamo la nostra dimensione ideale, dove abbiamo creato un ambiente a cui siamo emotivamente legati. Per questo motivo, che forma abbia la nostra home ha poca importanza: potrebbe persino essere una tenda o una barca, purché quello sia il luogo in cui sappiamo di poterci rifugiare dal resto del mondo se abbiamo bisogno di stare a nostro agio.
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Ebbene, anche nel caso del termine “care”, esso contiene tutto un insieme di significatiti che vanno ben oltre ciò che è contenuto nella parola “cure”.
Volendo semplificare, mi sembrerebbe ovvio affermare che le cure farmacologiche (in realtà, non solo in ambito palliativo) rappresentano, senza alcun dubbio, una necessità “tattica”, ma non possono soddisfare tutto il valore “strategico” del prendersi cura di una persona, soprattutto in prospettiva della sua morte.
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Queste considerazioni stanno alla base di una mia affermazione che, già altre volte, ho fatto:
“se avessi voluto fare solo il medico, avrei continuato a fare il neurologo”
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Purtroppo, non vorrei che certi ragionamenti vengano considerati una roba da “marziani”, ovvero senza che ci sia la ben che minima voglia di dedicare ad essi una sufficiente attenzione.
La verità (almeno per me) è che non bastano 4 fiale di un qualsiasi farmaco per pensare che “il gioco” è fatto, così come non bastano 4 mura di un cubo in cemento per andare a viverci dentro per una vita.
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Probabilmente certe cose sono di importanza fondamentale, almeno su Marte. Ma, spesso, ho l’impressione che, qui sul pianeta terra, queste stesse cose siano considerate semplici c……ate, ovvero “dettagli” di secondaria importanza.
Non vorrei che tanti medici ed infermieri, prima ancora che la maggior parte della popolazione si limiti a considerare le cure palliative (al di là delle “belle parole” di facciata, appunto le supercazzole) come una semplice medicalizzazione della morte. Non vorrei che si pensi che basti far “dormire” qualcuno per rendere la sua morte “dignitosa”.
Sia ben inteso, è meglio “dormire” che morire con un dolore intollerabile. Ma questo è l’unico scopo delle cure palliative? Bastano solo queste 4 mura per viverci dentro le ultime settimane della propria esistenza? La terapia farmacologica, praticata nelle cure palliative é l’unica cosa che, veramente, conta, solo perché è necessaria?
Secondo me, non basta che una cosa sia necessaria per essere importante o, almeno, più importante di altro.
Sarei tentato di scrivere tanto ancora ma, purtroppo troppo spesso, dicendo certe cose, ho come l’impressione di parlare con la lingua dei marziani. Ho il sospetto di pensare cose prive di reale significato per la maggior parte della gente.
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Pazienza, male che vada posso sempre tornare su Marte.
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Ovviamente tutto ciò che hai appena letto sono, soltanto, delle mie idee, basate anche su mie esperienze personali.
Ti invito, quindi, a considerare sempre che tutto ciò che si legge in questo blog non rappresenta, in alcun modo, alcuna Verità assoluta (per come ho già spiegato in un altro articolo che potrai rileggere, cliccando qui).
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Se tu volessi contattarmi lo potrai fare scrivendo a quasizen.mail@gmail.com
Accetterò ogni commento, giudizio o suggerimento (e, se non riesci proprio ad evitarlo, anche qualche insulto). Potresti anche inviare ogni tua riflessione che vorresti pubblicare su “QUASIZEN” (potrai chiedermi di farlo).
Ciao, alla prossima (non so quando).
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